Anna Piacentini Happiness at Work Consultant & Trainer, CEO di People3.0; S.F.E.R.A. & Talent Coach; Emotional & Mindfulness Certified Trainer. Da anni sei impegnata nella diffusione della filosofia Happiness at Work in Italia, organizzando ad esempio l’edizione italiana dell’International Week of Happiness at Work. Perchè è importante parlare di Happiness at Work e cosa ci rende “felici” a lavoro?
Nella nostra vita trascorriamo lavorando circa tra le 70.000 e le 100.00 ore, almeno 39 anni lavorativi. Sono un decisamente una parte rilevante della nostra vita per non utilizzarle facendo un lavoro che ci renda felici ed appagati.
Ognuno di noi può avere una sfumatura diversa rispetto ciò che lo rende felice sul lavoro, ma tutti abbiamo un comune denominatore: la fiducia e la stima verso le persone con cui collaboriamo e la significatività (senso) dell’attività svolta. Alcuni sono felici quando raggiungono un risultato importante, altri quando sentono di fare la differenza, a tutti piace essere riconosciuti e valorizzati e lavorare con persone che con cui si condividono visione, passione e, perché no, divertimento.
In Italia, a differenza di altri paesi, solo il 35% delle persone dichiara di avere una frequenza di eventi che lo rendono felice, superiore al settimanale. Ben il 42% invece è felice al massimo una volta al mese.
Essere felici a lavoro ha enormi ricadute positive a livello individuale e professionale: ci dona più energia, maggiore concentrazione, più serenità e libertà, maggiore apertura al dialogo e alla collaborazione, migliora le performance.
La domanda quindi che non siamo abituati a farci è: qual’è il costo dell’infelicità?

Quali sono i costi in termini di risultati di performance o di inutili sprechi per un’azienda che non investe sull’Happiness dei propri dipendenti?
I costi sono alti, perchè le persone sono demotivate, poco ingaggiate e proattive. Si rischia di perdere il potenziale vero delle proprie persone.
Le ricerche dimostrano che investire sulla Felicità a lavoro ha un impatto positivo su molti aspetti come: assenteismo, produttività, vendite, turnover, incidenti sul lavoro, qualità dei prodotti/servizi, senso di appartenenza, reputazione aziendale e attrattività. Tutto questo porta ad un miglioramento considerevole della produttività.
Sono solita ripetere agli imprenditori la frase di Richard Branson – fondatore di Virgin – “se investi sulle tue persone, loro investiranno su di te”, perchè rende benissimo il concetto. Se investiamo su una persona, significa che la “vediamo”, la “ascoltiamo”, la facciamo sbocciare e la rendiamo realmente parte dell’azienda. Questo aumenta il senso di appartenenza, la motivazione ad investire il loro tempo nella nostra organizzazione e si traduce in un rapporto che si consolida, basato su fiducia e valori condivisi.
Come può essere misurato il ROI su investimenti di questo tipo? Quali sono i KPI che solitamente le aziende tengono sotto osservazione?
Il primo passo del modello Happiness at Work che portiamo nelle aziende è il coinvolgimento del management attraverso l’identificazione degli obiettivi strategici e dei KPI per misurare il ritorno d’investimento in maniera chiara e misurabile. Sarà poi l’Happy Team, un gruppo di dipendenti volontari, a doversi prendere la responsabilità di organizzare il piano operativo e raggiungere quei risultati.
Ogni azienda è una realtà a sé, per questo i KPI di un progetto simile possono variare molto da settore a settore e da azienda ad azienda.
Per esempio nel settore tecnologico, l’obiettivo potrebbe essere quello di fidelizzare i dipendenti e diminuire il tasso di turnover. Mentre un’azienda di produzione sarà probabilmente più interessata a ridurre gli incidenti sul lavoro, l’assenteismo e la disponibilità agli straordinari.
Ogni azienda deve trovare i propri KPI, legati ai propri obiettivi strategici e capire come investire sulla Felicità possa aiutarli a raggiungerli più velocemente o con meno difficoltà.
Ma quindi, essere Felici a lavoro è una responsabilità individuale oppure dipende dalla volontà dell’azienda e del management?
Entrambi: per essere felici il primo passo è avere un atteggiamento positivo per sè e per gli altri. Al tempo stesso però l’ambiente deve facilitare e creare le condizioni affinchè questa cultura si diffonda e venga percepita come un valore reale e condiviso.
L’azienda ed il management quindi giocano un ruolo fondamentale: sia per individuare le linee strategiche, ma soprattutto con il loro comportamento determinano la cultura dell’organizzazione. Sono loro quindi a dover trasmettere la filosofia ed i valori, tramite prima di tutto il buon esempio e la coerenza.
Solo un’azienda in cui i vertici siano realmente convinti dell’importanza degli investimenti sull’Happiness at Work, possono verificarsi le condizioni affinché si crei un ambiente di fiducia diffusa in cui tutte le persone possano sentirsi felici.
Volendo approfondire questa tematica come possiamo fare?
Il 14 febbraio abbiamo organizzato un incontro gratuito al Tim WCap di Milano, in cui approfondiremo insieme come poter creare una cultura positiva.
https://www.meetup.com/it-IT/Design-Sprint-Milano/events/268163230/
Il 22 febbraio invece potete sperimentare in prima persona cosa significhi per voi Happiness at Work e come disegnare la vostra azienda Felice con un workshop LEGO® SERIOUS PLAY® https://oooh.events/evento/happiness-at-work-powered-by-fondazione-brodolini-biglietti/